Tonino Guerra

‘Sono nato a Santarcangelo di Romagna nel 1920. Un’infanzia con le strade di terra battuta e le siepi con piccoli uccelli. Sono stato un grande cacciatore di lucertole e me ne vergogno. Ho studiato al mio paese, a Forlimpopoli e a Urbino dove c’erano dei professori eccezionali. Mia madre era analfabeta. Le ho insegnato a scrivere. Ho letto il suo testamento nella casupola sulla sponda del fiume Uso, dove eravamo sfollati al tempo del fronte. Così era scritto sul foglio nascosto nell’astuccio di cartone dei suoi occhiali da vista:
A quel tempo mia madre possedeva dei vasi di fiori. Qualche giorno dopo mio padre, grande amico degli animali, mi manda a Santarcangelo a portare qualcosa da mangiare al gatto che avevamo abbandonato nella casa di via Verdi. Così sono stato deportato in Germania. In prigione ho cominciato a scrivere delle poesie in dialetto per tenere compagnia a dei contadini romagnoli che erano con me nel campo di concentramento di Troisdorf. Sono arrivato alla stazione di Santarcangelo una mattina d’agosto del 1945. Credevano fossi morto. Per non spaventare mio padre e mia madre ho impiegato un giorno a percorrere il chilometro di strada che c’era tra la stazione e casa nostra di allora. Seduto sulla sponda di un fosso mandavo qualcuno a casa ad avvertire che c’erano in Altitalia ancora dei prigionieri che tornavano.
Nel pomeriggio ho deciso di farmi vivo. Mio padre mi aspettava sulla porta di casa. Non ci eravamo mai dati né baci né strette di mano; appena dei segni. Mi fermo a quattro metri da lui per non metterlo in imbarazzo. Il babbo mi guarda a lungo stringendo il mezzo toscano in bocca, poi toglie il sigaro spento e mi chiede: -Hai mangiato? -Moltissimo – rispondo. Lui se ne va indaffarato verso il paese, senza girarsi neanche più indietro. Quando più tardi, circondato da parenti e paesani, siedo nella camera che chiamavamo “la saletta”, arriva un uomo con una piccola valigia in mano. -Cerca qualcuno? – gli chiedo. -Sono il barbiere. Suo padre mi ha detto che devo fargli la barba. Mi tocco il viso e mi accorgo di avere la faccia con la barba di due giorni. Nel ’46 Carlo Bo ha scritto la prefazione a un libretto di poesie in dialetto che ho pubblicato a mie spese, I Scarabòcc (Gli scarabocchi) e così mi ha tirato fuori dall’ombra.
Poi sono stato a Roma e mi sono buttato a scrivere sceneggiature. Col tempo ho pubblicato due libri nella collana I gettoni diretta dall’amatissimo Elio Vittorini. Più tardi I bu, la raccolta di tutte le mie poesie in romagnolo con un saggio di Gianfranco Contini, grande uomo che continuo a ringraziare anche quando lo nominano sui giornali. E ogni tanto delle storie in italiano che pubblicava Bompiani. Sono tornato al dialetto col Miele edito da Maggioli, che è stato tradotto anche in Francia, e ho scritto una favola in italiano che contiene anche il sapore di un viaggio incantato nella Georgia, repubblica caucasica dell’ex Unione Sovietica. Si chiama La pioggia tiepida e ha vinto nel 1984 il premio Comisso. Ho scritto anche un poema che si intitola La Capanna. Per molti mesi sono tornato a vivere in Romagna, a Santarcangelo e ho cercato di animare il mio paese con degli avvisi e manifesti che ora si trovano nel grande ambiente della Sangiovesa, la trattoria che ora è diventata un punto di incontro di mezz’Italia. Dal 1989 abito a Pennabilli, il paese dove mio padre portava frutta e verdura, prima con i cavalli poi con un piccolo camion che tornando a Santarcangelo riempiva di carbone e legna. Ho scritto diversi libri di poesia, e anche libri di racconti e diari. Tutte queste pubblicazioni si trovano dall’editore Maggioli di Santarcangelo. Per quanto riguarda il cinema, a occhio e croce, penso di aver scritto una novantina di film, guadagnando molti premi e molte nomination all’Oscar: Amarcord ha vinto l’Oscar. Ora il cinema si sta allontanando da me, tuttavia continuo a collaborare con Rosi, Antonioni e Theo Anghelopulos con il quale da poco ho finito di sceneggiare il sesto film che ha per titolo L’eternità e un giorno (vincitore del Festival del Cinema di Cannes nel 1998, n.d.r.). Mi piace se piove o anche quando la nebbia copre completamente la valle del piccolo affluente del Marecchia, il Messa, e io ho l’impressione di vivere con me stesso’.